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L’Imam Abd ar-Rahman al-Akhdari
Abû Yazîd ‘Abd ur-Rahmân bin Muhammad as-Saghîr ibn Muhammad ibn ‘Âmir al-Akhdarî as-Sulamî al-Mardâsî: il “Dotto dalla vasta conoscenza” (al-Faqîh al-‘Allâmah), il “Rettificatore dalla comprensione sottile” (al-Muhaqqiq al-Fahhâmah), pio sapiente (šaykh sâlih), noto giurisperito del madhhab Mâlikî [1], fu autore di numerose opere, in particolare nell’ambito della logica (mantiq), della retorica (balâghah) e della letteratura (adab) [2]. Che Allâh (ﷻ) ne abbia misericordia e lo alloggi nei Suoi vasti giardini.
L’infanzia e gli studi. Nacque nel X secolo dall’egira del Profeta (ﷺ), nel 920/1514 in un luogo conosciuto come Nabtûs, un villaggio della regione di Baskarah, in Algeria. Discendente da una famiglia di sapienti, crebbe in un ambiente caratterizzato dalla conoscenza e dalla rettitudine, e si dimostrò incline all’apprendimento fin dalla più tenera età, grazie a doti non comuni in termini di intelligenza e dedizione.
Un decalogo per la partecipazione a programmi TV
In questi giorni – in concomitanza con la recenti vicende legate ai conflitti in Vicino e Medio Oriente, nonché con la ricorrenza dell’anniversario degli attentati terroristici dell’11 Settembre – diversi giornalisti hanno cominciato a contattare numerosi musulmani italiani tramite Internet, per invitarli a partecipare ad alcune trasmissioni televisive.
E’ opportuno raccomandare innanzi tutto la massima prudenza a questo proposito, ed anzi sconsigliare apertamente, almeno in linea di massima, di prendere parte a queste trasmissioni – le quali, anche laddove siano state realizzate con buona fede e professionalità, nella maggior parte dei casi hanno contribuito ad accrescere la confusione ed i fraintendimenti nei confronti dell’Islâm, anziché a dissiparli.
Inoltre, ricorderemo brevemente alcuni elementi utili per una valutazione complessiva di queste circostanze, e che sarà necessario prendere seriamente in considerazione, laddove ci si impegni in un contesto di testimonianza e di predicazione pubblica (da‘wah).
Trattandosi di un’importante responsabilità, che ci si assume dinanzi ad Allâh (ﷻ) ed alla Comunità islamica nel suo complesso, è necessario farsene carico “in scienza e coscienza”, evitando di prendere decisioni precipitose e riferendosi al consiglio di fratelli fidati – ciò che dovrà considerarsi come la premessa naturale a tutto ciò che segue.
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La ricerca della Conoscenza di Baqiyy ibn Makhlad
«..E qui [menzioneremo] un altro racconto, tra i più straordinari che si possano narrare, che si verificò quando un sapiente Andaluso si mise in viaggio dall’Andalusia verso l’Oriente. Egli percorse questa grande distanza camminando sulle sue sole gambe [senza l’ausilio di un cavallo od un cammello da cavalcare], con l’obiettivo di incontrare un Imâm tra i [più grandi] imâm, e di acquisire conoscenza da lui. Al suo arrivo, venne a sapere che l’Imâm era stato messo agli arresti domiciliari e bandito dal pubblico insegnamento. [1] Ciononostante, attraverso alcuni espedienti, il sapiente Andaluso fu infine in grado di apprendere da lui.. E questa storia è piena di questo genere espedienti, insoliti ed interessanti.
Il suo nome era Abû ‘Abd ar-Rahmân Baqîyy bin Makhlad al-Andalûsî al-Hâfiz. Nacque nel 201 H. (816 C.) e morì nel 276 (890), possa Iddio averne misericordia. Egli si recò a piedi fino a Baghdâd quand’era circa ventenne, ed il suo più profondo e sentito desiderio era quello di incontrare l’Imâm Ahmad ibn Hanbal e studiare con lui.
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Il significato del termine “Aqîdah”
Il termine ‘aqîdah (pl. ‘aqâ’id) indica generalmente «ciò cui il cuore è saldamente legato», «il giudizio categorico, che non è soggetto a dubbio od incertezza»: esso indica dunque la «credenza consolidata», o «convinzione» – analogamente al senso del termine latino «cum-vincere», cioè «legare insieme», fissando saldamente – a prescindere dal fatto che tale credenza o convinzione profonda sia effettivamente conforme al vero. [1]
Significato linguistico. Dal punto di vista linguistico (laughawî), la parola ‘aqîdah (عقيدة) deriva dalla radice trilittera ‘aqada (ع–ق–د), che rimanda ai significati di «nodo», «vincolo», «legame», «attaccamento». In lingua Araba, si dice ad esempio «‘aqada l-habl», per indicare che la corda è stata annodata strettamente.
Morfologicamente, la parola ‘aqîdah si presenta nella forma detta fa‘îlah (فعيلة), che assume il significato di maf‘ûl (مفعول) – ovvero dell’oggetto su cui si esercita una determinata azione; essa rende perciò l’espressione ma‘qûdâ ‘alay-hi (معقودا عليه), indicando «ciò cui è legato» o «saldamente fissato» qualcosa.
Sull’espulsione dell’imam di San Donà di Piave
L’arbitraria espulsione di ‘Abd al-Barr ar-Rawdî, imâm del centro Islamico di San Donà di Piave – in seguito ad un sermone (khutbah) riguardante la violenta aggressione sionista alla Striscia di Ghazah, che secondo fonti ONU ha provocato finora oltre 1850 morti, 270mila profughi e 5 miliardi di dollari di danni materiali – rappresenta una duplice sconfitta. Da un lato, una sconfitta per la comunità Islamica in Italia, ed una drammatica dimostrazione della sua condizione di debolezza politica e culturale; dall’altro, una sconfitta per le istituzioni nazionali, ed un tragico sintomo della loro incapacità di comprendere e di governare adeguatamente dinamiche complesse, legate tanto ai processi di integrazione degli immigrati di fede Islamica nel nostro tessuto sociale, quanto al ruolo del nostro Paese dinanzi a crisi internazionali di una tale portata e gravità.
Innanzi tutto, dichiariamo preliminarmente la nostra dissociazione e condanna nei confronti di qualsiasi invito all’odio ed alla violenza nei confronti della popolazione Ebraica nel suo complesso; dice l’Altissimo (ﷻ): «O voi che credete [..] non vi spinga alla trasgressione l’odio per quelli che vi hanno scacciato dalla Sacra Moschea. Aiutatevi l’un l’altro in carità e pietà e non sostenetevi nel peccato e nella trasgressione». [Corano 5:2]
In secondo luogo, prima di discutere brevemente l’episodio nei suoi aspetti fondamentali, è opportuno premettere che non siamo a conoscenza dello specifico decreto dispositivo di espulsione emesso ai danni di ‘Abd al-Barr ar-Rawdî: non possiamo dunque escludere che esso non si sia costituito esclusivamente sulla base di un singolo sermone, bensì su una collezione più ampia di elementi probatori raccolti a suo proposito, dei quali non ci è dato sapere. Tuttavia, annunciando pubblicamente questo decreto di espulsione, il Ministro degli Interni italiano lo ha giustificato riferendosi soltanto al sermone in questione – con tutto ciò che questo comporta dal punto di vista mediatico ed istituzionale: è su questa base che discuteremo quindi la materia, brevemente e nei suoi termini più generali.
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Sulle origini della bandiera Palestinese
La bandiera adottata dai nazionalisti arabi Palestinesi è la medesima bandiera che contraddistinse la Rivolta Araba (at-Thawrah al-‘Arabiyyah) nei confronti del Califfato Ottomano, nel 1916.
Tale rivolta – incoraggiata anche dal fenomeno crescente del nazionalismo Turco – prese le mosse dai negoziati segreti tra lo Šarîf Husayn ibn ‘Alî, emiro di Mecca e discendente della nobile dinastia dei Banî Hâšim, ed il governo britannico, che durante la Prima Guerra Mondiale era interessato a creare una spaccatura nel fronte Ottomano.
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Sul riferimento agli annunci di avvistamento dell’Arabia Saudita
Nel corso degli ultimi anni, per determinare il principio ed il termine del mese di Ramadân, molti credenti e centri di cultura Islamica in Italia hanno fatto riferimento agli annunci provenienti dal Regno dell’Arabia Saudita (al-Mamlakah al-‘Arabiyyah as-Sa‘ûdiyyah), tramite i canali delle televisioni satellitari internazionali. Ciò ha costituito soprattutto una soluzione provvisoria all’assenza di un riferimento qualificato per il territorio Italiano – nonché alla confusione dovuta alle diverse provenienze geografiche degli immigrati Musulmani in Italia, che spesso e volentieri prediligevano il riferimento agli annunci di avvistamento dei propri Paesi d’origine, mentre l’Arabia Saudita pareva dare una garanzia di affidabilità e di equidistanza, in quanto “Paese dei due Santuari” (Bilâd al-Haramayn) di Makkah e Madînah.
Non sussiste tuttavia alcuna specifica indicazione šara‘îtica che supporti questa opzione. Infatti, il semplice fatto che l’Hijâz ospiti i due principali santuari Islamici – la Sacra Moschea (al-Masjid al-Harâm) di Makkah e la Moschea del Profeta (al-Masjid an-Nabawî) di Madînah – e costituisca in un certo senso la “culla” della civiltà Islamica, non attribuisce ai suoi governanti alcuna particolare prerogativa, a questo proposito.
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Sul nome santo di Israele

Israele (Isrâ’îl) è il nome santo con cui Allâh (ﷻ) ha indicato il padre di Giuseppe (Abû Yûsuf), Giacobbe, figlio di Isacco figlio di Abramo (Ya‘qûb ibn Ishâq ibn Ibrâhîm), la pace sia su tutti loro: il nobile Profeta (nabî) del Signore, il Servo (‘abd) paziente nelle avversità, colui che perdette la vista per la nostalgia del figlio scomparso, e che quando la riacquistò disse: «Non vi avevo appunto detto che grazie ad Allâh conosco cose che voi non sapete?» [1].
Egli è fratello della Migliore delle creature di Dio (Khayru khalqi-Llâh), il Principe dei figli di Adamo (Sayyidu banî Âdam), il Profeta Muhammad, che disse (ﷺ): «Tutti i Profeti sono fratelli: le loro madri sono diverse, ma la loro Religione è unica» [2]. Allâh (ﷻ) predilesse la sua progenie (banî Isrâ’îl) sul resto dell’umanità, e da essa trasse numerosi Profeti ed Inviati, finché questa non si ribellò ai messaggeri del Signore, disobbedendo e perseguitandoli.
La sua etimologia è incerta. At-Tabarî riferisce che essa sarebbe legata al verbo sarâ, che significa «viaggiare di notte»: in seguito ad un alterco con suo fratello, «egli si recò da suo zio viaggiando di notte e nascondendosi durante il giorno; questo è il motivo per cui si chiamò Israele (Isrâ’îl), poiché egli è sâriyy Allâh, viaggiatore notturno di Dio». [3]